I nostri sensi, come sappiamo, non ci restituiscono una realtà oggettiva, ma sempre mediata e, come ci hanno insegnato Gödel prima (con il principio di indecidibilità) e Heisemberg poi (con il principio di indeterminazione), l’osservatore modifica sempre l'osservato, per cui non v'è nulla, che appartenga all'umano, che non sia soggetto alla ricreazione del nostri sensi creatori.
Si pensi, per dirne una tra le tante, alla vista e alla sua straordinaria capacità di restituirci quella cosa che chiamiamo realtà come un unicum ininterrotto, un fluire di immagini in cui, consapevoli o meno, già esercitiamo le nostre spontanee facoltà creative.
Vi è, infatti, un punto in cui l’occhio non vede, non può vedere, ossia laddove convergono i nervi e i vasi sanguigni della retina. Lì si trova una piccola zona di circa 1.5 millimetri priva di cellule fotosensibili che dovrebbe causare alla nostra visione un continuo e improvviso campo nero tra le immagini in sequenza, come quando stiamo vedendo un film e, per un millesimo di secondo, la proiezione si interrompe mostrando -appunto- un frame nero. E’ lì che, invece, interviene il nostro cervello inventando, creando per noi, l’immagine mancante attraverso un processo di riempimento virtuale.
Quell’immagine non c’è, non esiste, è una composizione virtuale che il nostro cervello fa inventando per noi un pezzo di realtà affinché la realtà ci sembri, potremmo dire: "reale".
Come disse Emerson in tempi insospettabili: «Abbiamo capito che non vediamo la realtà direttamente, ma mediatamente e che non abbiamo alcuna possibilità di modificare o correggere le lenti colorate attraverso le quali vediamo il mondo, né di calcolare l’entità dei loro errori».
Per questo e altri fenomeni similari, possiamo parlare della realtà come di una simulazione creativa generata dal cervello, sotto il controllo di una determinante genetica e delle interazioni che stabiliamo con l’ambiente che ci circonda.
Siamo, cioè, immersi in un costante rapporto di ricreazione della realtà, una realtà che generiamo utilizzando vecchi simboli e inventandone di nuovi con lo scopo di attraversarla nel segno del godimento e del benessere, anziché nel segno del malessere e della sofferenza.
Non sempre, tuttavia, questo tentativo va a buon fine e, a volte, la complessità di questa creazione, in continua interazione con le creazioni altrui, finisce per dar vita a una realtà che fa stare male anziché stare bene. Qualcosa nel processo generativo, o nella sua condivisione, non ha funzionato e l'opera non risponde adeguatamente all'intento del suo creatore.
E qui che interviene CurArte, operando con il soggetto affinché una nuova creazione funzionale e generatrice di benessere sostituisca la prima disfunzionale e generatrice di malessere.
E qui che interviene CurArte, operando con il soggetto affinché una nuova creazione funzionale e generatrice di benessere sostituisca la prima disfunzionale e generatrice di malessere.